C’è qualcosa di ironico e pure di diabolico se ci pensate bene, nel fatto che l’annus horribilis dell’industria musicale italiana (e non solo) sia iniziata con una domanda tanto semplice quanto paradossale. “Che succede?”
No, tranquilli: non vogliamo parlarvi di Bugo e Morgan e neanche del Festival di Sanremo, anche se è difficile non notare come quello sia stato forse l’ultimo momento in cui uno spettacolo – in quel caso uno spettacolo televisivo con dentro della musica – si sia potuto svolgere regolarmente, senza limitazioni e stravolgimenti. Poi è cambiato tutto: è scoppiata la pandemia e il mondo della musica live ha deciso di fermarsi – dando prova di grande maturità e solidarietà – quando ancora di mascherine e distanziamento si parlava in modo vago e nessuno pensava che dopo dodici mesi saremmo stati ancora qui a chiederci come, quando e se sarà mai possibile ripartire.
Nel mentre, però, non siamo stati fermi: è successo che ci siamo parlati e abbiamo fatto squadra.
Tutti insieme. Artisti, musicisti, manager, discografici, tecnici e uffici stampa, organizzatori di concerti e live club, singoli lavoratori autonomi o imprese. Tutti, perché solo TUTTI dalla stessa parte, insieme, possiamo far ripartire questo sistema. Ed è insieme che ci siamo resi conto che qualcosa che non funzionava nel nostro settore c’era ancora prima che arrivasse il Covid-19 a rovinare i piani e interrompere il lavoro di tante persone. Già, il lavoro: durante tutto quest’anno il nostro impegno maggiore è stato nel far capire all’opinione pubblica e alle istituzioni che dietro ogni superstar che sale sul palco c’è uno stuolo di invisibili che suda, produce e paga le tasse. Perché chi opera nel campo della musica non sta solo dando sfogo a una passione e inseguendo un sogno, ma sta a tutti gli effetti svolgendo una professione. Non siamo stati fermi, quindi: abbiamo studiato, abbiamo alzato la voce e abbiamo lottato per far passare il concetto fondamentale – ma in questo paese ancora non del tutto compreso – che musica vuol dire soprattutto cultura, sviluppo, progresso. In una parola semplice: FUTURO. Ecco, noi siamo qui a dire che quello che è successo conta infinitamente meno di quello che succederà. Perché il nostro settore può essere proprio quello che può aiutare il paese a ripartire nel segno dell’innovazione, del rispetto ambientale, delle politiche di genere, dell’abbattimento delle discriminazioni, per un ritorno a una socialità sana e al benessere delle emozioni.
Per questo il Festival di Sanremo che sta per cominciare potrebbe essere il luogo dove far confluire tutte queste istanze e portarle al grande pubblico, non solo una celebrazione con mazzi di fiori e paillette di un mondo che in realtà non avrebbe nulla da festeggiare.
Quest’anno, poi, su quel palco saliranno tanti artisti che proprio nell’invisibilità di cui scrivevamo prima hanno mosso i primi passi. Sarebbe bello usare le loro storie, il loro esempio, per ricordare a tutti che questa è una battaglia che riguarda per prima cosa i più “piccoli”. Tutti quegli artisti, o tecnici o altro, che si stanno affacciando ora al mondo del professionismo.
La musica deve ricominciare a girare per tutti, ma soprattutto per loro.
Con la speranza di ritrovarci presto tutti insieme sotto, sopra e dietro al palco uniti in una passione che è anche una maledizione.